In un sistema complesso come quello del volo, sia per l’elevato numero dei soggetti coinvolti sia per la gravità delle eventuali situazioni di pericolo che possono verificarsi, il corretto modo di operare dell’uomo assume un ruolo fondamentale per assicurarne lo svolgimento sicuro in ogni sua fase.
L’obiettivo degli studi di Human Factors è quello di individuare, attraverso lo studio dei comportamenti e l’analisi degli eventi negativi occorsi, i metodi migliori per l’assunzione delle corrette decisioni nel corso delle operazioni di volo e di prevenire errori che a terra ed in volo possano determinare condizioni di pericolo per le persone ed i mezzi.
L’analisi del fattore umano consiste, di fatto, nello studio di affidabilità dell’uomo che si affianca a quello di affidabilità delle ‘macchine’ (per l’aeromobile si valuta il difetto/avaria, per l’uomo l’errore). Ovviamente l’affidabilità dell’uomo è più difficile da studiare e da raggiungere.
Agli inizi dell’attività di trasporto aereo commerciale gli incidenti erano molti e spesso dovuti ad una parziale conoscenza del volo e delle regole tecniche e operative connesse. Una grande percentuale di incidenti era dovuta anche a problemi tecnici (cedimenti strutturali, avarie ai motori e agli impianti fondamentali per il volo).
“Con lo sviluppo delle conoscenze e delle capacità progettuali il numero degli incidenti dovuti a cause tecniche è via via diminuito e la gran parte delle cause è rimasta a carico dei comportamenti dell’uomo con oltre l’80 %” (Martinussen et al., Aviation Psichology and Human Factors, 2010). Essendo il più alto numero di incidenti dovuto a valutazioni o manovre di pilotaggio errate lo studio è stato inizialmente rivolto al comportamento dei piloti che costituiscono l’ultimo anello della catena delle operazioni di volo (di fatto la discriminante tra il successo e l’insuccesso della missione). Successivamente gli studi sono stati estesi agli aspetti connessi alla manutenzione ed alla ‘assistenza al volo’ (controllori di volo – comunicazioni terra –bordo – terra). Nel campo tecnico i difetti del materiale di volo scaturiscono sostanzialmente da errori in sede di fabbricazione e, più raramente da errori in sede di progettazione (errori di progetto e errori nelle valutazioni di affidabilità delle parti e dei sistemi). Tali errori per le loro caratteristiche possono risultare di livello catastrofico e debbono pertanto essere oggetto di approfondite valutazioni in sede preventiva.
La Conferenza IATA di Istanbul, nel 1975, vide la partecipazione dei maggiori esperti di analisi di incidenti e di psicologia e fisiologia di aviazione, che contribuirono ad orientare l’attenzione di tutto il mondo aeronautico sul fattore umano. Tra gli effetti dell’Aviation Deregulation Act dell’amministrazione Reagan negli Stati Uniti ci fu una competizione accanita tra vettori che in una corsa al risparmio con scorciatoie di gestione determinò numerosi gravi incidenti negli anni che vanno dal 1975 al 1985. A seguito di quello che a tutt’oggi è il più catastrofico incidente aeronautico mai verificatosi, Tenerife 27 marzo 1977, una collisione che coinvolse due aerei passeggeri Boeing 747 sulla pista di decollo causando 583 vittime, la multi – disciplina Human Factors ricevette l’impulso definitivo per diventare oggetto di studio ed applicazione per gli equipaggi di volo.
In seguito all’analisi di quello e di altri incidenti, Gerrard Bruggink (1998), che fu Vice-Direttore del “Bureau of Accident Investigation” dell’Ente Nazionale della Sicurezza dei Trasporti Americani (NTSB), definì “policy factors” le radici da cui avevano origine le dinamiche degenerative che portavano all’incidente.
“A policy factor becomes an inherent part of the casual mechanism when top management of manufacturers, air carriers, professional organizations, airports or regulatory agencies helped set the stage for the accident by ignoring the lessons from predictive incidents and similar accidents in the past, or by tolerating unwarranted compromises for reasons of self image, economy, or ineptness.”
Ed è dopo quasi vent’anni dalla prima Conferenza IATA sugli Human Factors che un’ altra Conferenza IATA tenutasi a Montreal nel 1993, avente per argomento le strategie di contenimento degli incidenti con cause fattore umano, mise in evidenza i risultati degli studi di incidenti avvenuti negli anni precedenti ed individuò le “root causes” (le cause alla radice) degli eventi nei cosiddetti Policy Factors, confermando quanto Bruggink aveva indicato. Uno dei più significativi studi sull’argomento fu quello del Prof. James Reason e venne presentato tra gli atti della Conferenza di Montreal.
Reason, rafforzando il concetto espresso da Bruggink, dopo aver analizzato alcuni disastri degli ultimi anni avvenuti in vari contesti (aviazione commerciale, marina mercantile, trasporto ferroviario, impianti nucleari e chimici, ecc.) dimostrò che l’uomo contribuisce agli incidenti secondo due modalità distinte definite: “active failures” e “latent failures”. Col termine “failure” il professor Reason intende le mancanze; “esse dipendono da chi le commette e dal tempo che trascorre prima che esse influiscano sulla sicurezza del sistema”:
- le “active failures” sono commesse dagli operatori che si trovano precisamente alla fine del sistema (piloti, controllori del traffico aereo, tecnici della manutenzione..). Si tratta di individui le cui azioni possono avere delle conseguenze drammatiche immediatamente; sono altresì coloro sui quali si concentrano maggiormente le attenzioni degli inquirenti e degli investigatori a seguito di un incidente.
- le “latent failures” derivano da decisioni fallaci, solitamente prese all’interno dei più alti livelli dell’organizzazione o dagli enti regolatori stessi, dai governi o dai politici. Le loro drammatiche conseguenze possono rimanere “dormienti” e inattive per periodi di tempo molto lunghi, per diventare evidenti allorquando si combinano con eventi locali scatenanti,quali ad esempio una mancanza attiva, un errore tecnico, una situazione atipica non prevista, e conducono alla rottura del sistema di protezione che era stato articolato.
Nel 1986 la ventiseiesima Assemblea Generale dell’ICAO ha riconosciuto il valore di ‘Human Factors’ avviando un programma di sviluppo della materia in tutti i settori dell’aviazione civile e deliberando di: “migliorare la sicurezza in aviazione rendendo gli Stati più consci e più rispondenti al fattore umano e rendendo disponibili materiali sul fattore umano e le misure adottate dagli Stati sulla base dell’esperienza”. Per realizzare questo sviluppo, ICAO ha provveduto successivamente a revisionare gli ‘Annessi’ per inserire opportuni requisiti in materia di fattore umano, contenuti fino ad allora in ‘Documenti’ e “Standard and Recommended Practice” (SARP). In particolare nell’Annesso 6, sotto il titolo di Programmi di addestramento dei membri dell’equipaggio (paragrafo 9.3.1) è riportato: “…il programma addestrativo includerà inoltre insegnamenti relativi alle conoscenze ed alle capacità legate alle prestazioni ed ai limiti umani…sarà svolto su base ricorrente, come determinato dallo Stato dell’Operatore e comprenderà al termine un esame volto a determinare la competenza”.
Intercorrono otto anni tra la definizione di G. Bruggink e lo studio di J. Reason e l’equazione “policy factors = latent failures” è legittimata dall’analisi di quegli incidenti avvenuti in sistemi ad elevata e complessa tecnologia e definiti Organizational Accidents.
La conoscenza della materia ‘Human Factors’ è ora presente nella regolamentazione attinente i requisiti di certificazione di prodotti, organizzazioni e personale.
L’addestramento al fattore umano è obbligatorio nella certificazione di candidati alle licenze di pilota, meccanico e controllore del traffico aereo sia al momento del rilascio che in sede di mantenimento.